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Un problema risolto: anche l'iva puo' essere pagata parzialmente nei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento ai sensi della L. N.3/2012

L’importante decisione della Corte Costituzionale N.245 DEL 29.11.2019

Un problema risolto: anche l'iva puo' essere pagata parzialmente nei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento ai sensi della L. N.3/2012
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Come risaputo, con la L. n.3/2012 sono stati introdotti nel nostro ordinamento i ‘procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento’, con i quali i soggetti non fallibili (rectius, non assoggettabili a procedure concorsuali) possono porre rimedio alle loro situazioni di grave indebitamento.
Non è superfluo ricordare che per ‘sovraindebitamento’ si intende la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente.
In questo contesto, fino a pochi giorni fa -e più precisamente fino alla pronuncia della Corte Costituzionale n.245 del 29.11.2019- il maggior ostacolo che si frapponeva al ricorso ai procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento era rappresentato dall’impossibilità di stralciare, anche solo in parte, il debito IVA, che per alcuni imprenditori non soggetti al fallimento spesso rappresenta una delle voci debitorie più significative, venendo così preclusa, di fatto, la possibilità di beneficiare dei meccanismi premiali di cui alla L. n. 3/2012.
Infatti, nell’art. 7 della citata normativa, si leggeva che: “In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, all'imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento”.

Pertanto, prima della pronuncia 29.11.2019 del “giudice delle leggi” sopra citata, il pagamento dell’IVA poteva essere solo dilazionato, ma l’imposta doveva comunque essere corrisposta interamente.
D’altronde, le pronunce dei giudici del merito che si erano occupate della fattispecie avevano interpretato tale norma in modo rigoroso ritenendo non falcidiabile l’IVA; solo pochissime sentenze avevano aderito alla tesi contraria considerando invece l’IVA stralciabile (in particolare Trib. Torino del 7.8.2017; Trib. Pistoia del 26.4.2017; Trib. Pescara del 22.10.2017).
Recentemente, però, il Tribunale di Udine ha sollevato la questione della legittimità costituzionale del citato art.7 L. n. 3/2012 limitatamente alle parole “all’imposta sul valore aggiunto”.
In particolare, è stato osservato che -a fronte di situazioni omogenee tra loro- la norma in parola avrebbe discriminato i debitori soggetti alla procedura prevista dal citato art. 7, comma 1, della legge n. 3 del 2012, che sarebbero stati trattati diversamente da quelli legittimati a proporre il concordato preventivo, rispetto ai quali la falcidia del credito IVA sarebbe stata invece consentita dal combinato disposto di cui agli artt. 160 e 182-ter L.F.
Il giudice rimettente ha rilevato, altresì, che la norma di legge sottoposta al vaglio della Consulta avrebbe discriminato anche la pubblica amministrazione chiamata alla riscossione del relativo tributo, rispetto agli altri creditori muniti di prelazione, in quanto, a differenza di questi ultimi, non avrebbe consentito alla stessa di aderire alla proposta del debitore, ottimizzando le prospettive di soddisfazione del relativo credito a fronte di un patrimonio di riferimento che, in caso di liquidazione, non avrebbe garantito un grado di adempimento maggiore rispetto a quello proposto dal debitore.
Ebbene, la Corte Costituzionale ha condiviso la prospettazione del Tribunale di Udine, giungendo a dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 7, comma 1, terzo periodo, della legge 27 gennaio 2012, n. 3, limitatamente alle parole: «all'imposta sul valore aggiunto».
In particolare, la Corte ha in primo luogo ribadito che la L. n. 3 del 2012 ha messo a disposizione dei soggetti non fallibili, in crisi perché gravemente indebitati o già insolventi, strumenti che consentono in via preventiva una composizione della crisi da indebitamento o, in alternativa, una liquidazione, organizzata e complessiva, del relativo patrimonio: il tutto, in termini di evidente alternatività rispetto alla disciplina comune del codice civile ed alle regole dell'esecuzione individuale dettate dal codice di procedura civile, attraverso le quali, in precedenza, venivano esclusivamente regolati i profili di responsabilità patrimoniale del debitore non fallibile, titolare o no di attività di impresa.
Di più: la Consulta ha anche affermato che si tratta, all'evidenza, di strumenti di chiara matrice concorsuale, strutturati “in chiave concordataria o meramente liquidatoria ed in termini sostanzialmente analoghi agli affini istituti contenuti nella legge fallimentare”. Ancor più chiaramente, ha sancito che la filosofia di fondo sottesa alla normativa sul sovraindebitamento è individuata “nella esigenza di garantire anche ai soggetti non fallibili, connotati da gravi situazioni debitorie, l'accesso a misure di carattere esdebitatorio, alternative alla liquidazione o conseguenziali alla stessa, tali da consentire loro di potersi ricollocare utilmente all'interno del sistema economico e sociale, senza il peso delle pregresse esposizioni, pur a fronte di un adempimento solo parziale rispetto al passivo maturato; e ciò alla stessa stregua di quanto riconosciuto dall'ordinamento agli imprenditori assoggettabili a fallimento”.
E su tali presupposti la Corte Costituzionale è giunta a mettere a confronto l'accordo proposto dal debitore non fallibile con la proposta di concordato, affermando che entrambe le iniziative si muovono lungo direttrici comuni, accumunate da una identica ratio finalistica e cioè quella di “limitare il ricorso a procedure esclusivamente demolitorie, garantendo, in via anticipata, ai creditori una soddisfazione anche solo parziale governata dalla par condicio nonché, al contempo, al debitore di godere della esdebitazione senza attendere il corso della liquidazione”.
Sennonché il “giudice delle leggi”, a fronte di tale rilevato parallelismo, ha colto il grave disallineamento che invece si realizza, nel sistema, in relazione ai debiti tributari: infatti, mentre le proposte di concordato possono prevedere «il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori», senza imporre deroghe di sorta quanto alle tipologie delle poste di credito falcidiabili, al contrario, per i procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento destinati ai debitori non fallibili, si prevede la generale possibilità di falcidiare i crediti tributari, privilegiati e chirografari, ma, a differenza della legge fallimentare, la si esclude in riferimento al regime dell'IVA.
Ebbene, di fronte a tale situazione, la Corte Costituzionale ha concluso che “la differenza di disciplina che oggi caratterizza il concordato preventivo e l'accordo di composizione dei crediti del debitore civile non fallibile dà luogo ad una ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento tale da concretare l'addotta violazione dell'art. 3 Cost.” e, in conformità con la tesi del Tribunale di Udine, ha statuito che la norma censurata, laddove nega al debitore sovraindebitato la possibilità di pagare parzialmente l’IVA, viola la Costituzione perché a fronte di situazioni omogenee tra loro, discrimina i debitori soggetti alla procedura, che sono trattati diversamente da quelli legittimati a proporre il concordato preventivo, rispetto ai quali la falcidia del credito IVA è consentita.
Pertanto, da ora in poi, anche l’IVA potrà essere oggetto di “saldo e stralcio” nell’ambito delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Avv. Matteo Notaro
Studio Legale Notaro e Associati

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