Il nuovo ’68? Nel coraggio di Papa Francesco

Ieri sera è andato in scena dibattito promosso dai centri culturali cattolici in Sala Don Ticozzi

Il nuovo ’68? Nel coraggio di Papa Francesco
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Quella di oggi è un’Italia invecchiata, anche anagraficamente. Invece nel ’68 i messaggi di speranza lanciati verso il futuro venivano da una vasta generazione di giovani, capaci di aperture e di vicinanza umana profonda. Dunque da cosa si può ripartire adesso? Probabilmente da Papa Francesco, ha suggerito lo storico Agostino Giovagnoli: un Papa che non ha paura, che non si protegge con gli scudi dell’istituzione, che chiede alla Chiesa e ai credenti, ma non solo a loro, di stare attaccati al Vangelo. Si è iniziato con le proteste di 50 anni fa, si è finito con un Pontefice. Così l’incontro di ieri sera, mercoledì 3 ottobre, dal titolo “Sessantotto. Fu vera gloria?”, promosso da associazioni e centri culturali cattolici lecchesi (Acli, Centro San Nicolò, Movimento ecclesiale di impegno culturale - Meic, Centro culturale Alessandro Manzoni, Fondazione don Giovanni Brandolese) presso la Sala Don Ticozzi, e che ha visto circa 200 partecipanti.

Convegno sul 68

A discutere del ’68 cinquant’anni dopo, oltre al professor Giovagnoli, c’erano Alfredo Marelli, allora impegnato nelle Acli e nella Cisl, e il professor Giancarlo Cesana, medico e docente universitario, tra i responsabili nazionali dei primi anni del movimento di Comunione e Liberazione. Marelli ha proposto uno sguardo nuovo sul Sessantotto lecchese, raccontando quegli anni da attivista delle Acli (“Allora eravamo tutti cristiani, avevamo tutti quattro tessere in tasca: Azione cattolica, Acli, Cisl, Dc…”) e del sindacato, impegnato sul rinnovo dei contratti – il ’69 fu la dura stagione dell’Autunno caldo – ma anche sulla conquista e la difesa dei diritti dei lavoratori dentro e fuori le fabbriche. Un impegno cresciuto sulla scorta del Concilio Vaticano II, delle grandi encicliche di quegli anni, ma anche in un serrato dibattito con le gerarchie della Chiesa fino all’approdo della “scelta socialista” e del riconoscimento dell’autonomia dell’associazione da parte della Conferenza episcopale italiana.

Cesana dal canto suo ha ricordato l’imprevisto incontro con don Luigi Giussani e con i primi gruppi universitari di Comunione e liberazione, sulla spinta di un radicale desiderio di giustizia e libertà che non si era ancora imbattuto in una risposta adeguata, anche dentro un mondo cattolico sempre più fragile e in progressivo smottamento. “Cl - ha aggiunto Cesana - è stato un tipico movimento sessantottino, ed è l’unico che è sopravvissuto fino ad oggi, forte della certezza che la liberazione veniva e viene solo dalla comunione”. Ma oggi, in una società dove il mal di vivere e la ricerca di un senso alle azioni di tutti i giorni fatica a trovare risposte soddisfacenti, da dove cominciare? “La risposta - ha detto Cesana - è la stessa ieri come oggi: il problema della vita non è il desiderio, ma lo scopo. Allora eravamo pieni di desiderio, ma confusi perché senza uno scopo. E ieri come oggi occorre avere un senso realistico della vita, uno scopo profondo per cui val la pena vivere ed operare”.

Per Giovagnoli il ’68 è stato comunque espressione di una novità, perché i giovani di allora avevano percepito che il mondo dei genitori si stava svuotando di valori veri. Il mondo sta cambiando, cantava Bob Dylan, e quella generazione voleva dargli un fondamento nuovo. “Oggi - ha aggiunto lo storico - è difficile immaginare un movimento giovanile con la stessa audacia. E se il ’68 sta all’inizio del mondo in cui oggi viviamo, nella ricerca di un nuovo orizzonte e sperimentando una grande esperienza umana, ora viviamo la reazione a quell’apertura, sempre più chiusi in noi stessi, nelle nostre cose e nei nostri Paesi. Come ripartire? Per noi cristiani - ha concluso Giovagnoli -, seguendo il coraggio di Papa Francesco. Capace, per fare un esempio di questi giorni, di passi epocali come l’accordo per la stabilizzazione e la regolarizzazione della Chiesa cinese. Il futuro probabilmente sta lì, anche il nostro futuro”.

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