Licenziamento per chi critica l'azienda su Facebook

Criticare aspramente l'azienda su Facebook può costare molto caro al dipendente

Licenziamento per chi critica l'azienda su Facebook
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Criticare aspramente l'azienda su Facebook può costare molto caro al dipendente. Il caso su cui si è pronunciata la Cassazione con la sentenza n. 10280/2018  dell'aprile scorso riguarda il caso di un dipendente che ha pubblicato sul proprio diario facebook un messaggio di disprezzo verso l'azienda.

Il datore di lavoro ha licenziato il dipendente per giusta causa sul presupposto che le volgarità espresse sul social network e il contenuto che da esse emergeva erano tali da ledere irreversibilmente il vincolo fiduciario alla base del rapporto.

Il lavoratore, che aveva impugnato il licenziamento innanzi al Giudice del lavoro, asseriva a propria difesa che in ambito web espressioni volgari come quelle usate da lui dovevano considerarsi forme critiche d'uso ricorrente nel linguaggio dei social, dirette a manifestare un proprio disagio avvertito come intollerabile rispetto all'organizzazione del lavoro ritenuta inadeguata; e aggiungeva a propria difesa che  il licenziamento doveva ritenersi misura sproporzionata rispetto alla condotta tenuta.

La Cassazione rovescia completamente le tesi della lavoratrice ed evidenzia che, tutto al contrario, è proprio l'utilizzo del social network a rendere più grave il contenuto dello sfogo aggressivo, da considerarsi alla stregua della diffamazione, proprio per essere stato veicolato attraverso uno strumento di diffusione sociale potenzialmente illimitato, e come tale correttamente è stato valutato quale giusta causa e idoneo a rompere irrimediabilmente il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo.

La decisione della Suprema Corte avalla quelle del Tribunale e della Corte di Appello che avevano ugualmente dato torto alla dipendente.

Il tema è venuto prepotentemente alla ribalta, con tutte le conseguenti problematiche sottese, con il boom delle connessioni internet e del fenomeno dei cd. social network, primo tra tutti “facebook” che, oramai, è entrato a far parte della vita quotidiana di gran parte di noi.

In alcuni casi la condotta attuata tramite il social network viene utilizzata come prova di un comportamento attuato fuori dal lavoro (esempio il lavoratore in malattia che posta foto che lo ritraggono in attività incompatibili con tale stato) in altri casi è la stessa attività sui social che integra il comportamento oggetto di sanzione disciplinare, quale per l'appunto l'uso di espressioni diffamatorie, o più semplicemente l'aver costantemente e per lungo tempo sottratto ore alla prestazione lavorativa “chattando” o navigando grazie  all'assenza di rigidi controlli.

Il rapporto sempre più  stretto tra condotte dei lavoratori attuate tramite social network ed esercizio del potere disciplinare dei datori d lavoro è sottolineata tanto dalle cronache giornalistiche quanto da una ormai sempre più corposa giurisprudenza dei tribunali.

La materia è molto delicata, considerato che entrano in gioco diversi interessi primari.

Se da un lato, infatti, c'è l'interesse dell'azienda ad ottenere una corretta prestazione lavorativa, improntata ai canoni di diligenza, lealtà e correttezza, dall'altro vi è la tutela della privacy dei lavoratori e il divieto di controllo a distanza dell'attività degli stessi.

Alla luce dell'orientamento giurisprudenziale emergente, appare ovviamente consigliabile, oltre che corretto e diligente, rimandare l'uso dei social network e, più in generale, le attività da “internauti”, in orari non lavorativi, per non incorrere in sanzioni disciplinari che, come abbiamo avuto modo di notare, possono estendersi fino al licenziamento.

 

STUDIO LEGALE SPADA

Avv. Andrea Spada

Patrocinante in Cassazione

www.studioavvocatospada.it

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