Si suicida in carcere al Bassone di Como

Vani i tentativi di rianimare la vittima, un uomo di 44 anni. Quello di Como è il quarto suicidio di un detenuto nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno

Si suicida in carcere al Bassone di Como
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Dramma a Como: uomo di 44 anni si suicida in carcere. La vittima a deciso di togliersi la vita nella Casa Circondariale di Como dov’era detenuta dopo essere stato condannata per spaccio di droga.  E’ successo ieri intorno alle 22.

Si suicida in carcere

Alfonso GRECO, segretario regionale SAPPE (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) per la Lombardia ha spiegato l’accaduto.

“L’uomo, di circa 44 anni, italiano, si è suicidato ieri sera. L’Agente di Polizia Penitenziaria di servizio si è accorto dell’accaduto e ha dato l’allarme. Purtroppo sono stati vani i tentativi di soccorso per rianimarlo, anche con l’ausilio di altri colleghi e dello staff infermieristico. Il tragico fatto è avvenuto nella sala polivalente dell’istituto lariano, mentre aspettava di essere visitato a seguito di una colluttazione avvenuta qualche minuto prima con un altro ristretto italiano. Si disconoscono allo stato attuale le motivazioni che hanno indotto il detenuto a porre in essere l’insano gesto, compiuto usando la propria maglietta”.

Il quarto caso

“Questo nuovo drammatico suicidio di un altro detenuto evidenzia come i problemi sociali e umani permangono, eccome!, nei penitenziari, lasciando isolato il personale di Polizia Penitenziaria (che purtroppo non ha potuto impedire il grave evento) a gestire queste situazioni di emergenza. Questo di Como è il quarto suicidio di un detenuto nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno. Il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri. Gli istituti penitenziari hanno l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, e l’Italia è certamente all’avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti. Per queste ragioni un programma di prevenzione del suicidio e l’organizzazione di un servizio d’intervento efficace sono misure utili non solo per i detenuti ma anche per l’intero istituto dove questi vengono implementati. E’ proprio in questo contesto che viene affrontato il problema della prevenzione del suicidio nel nostro Paese. Ma ciò non impedisce, purtroppo, che vi siano ristretti che scelgano liberamente di togliersi la vita durante la detenzione”.

Situazione allarmante

“Negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 18mila tentati suicidi ed impedito che quasi 133mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze. Il dato oggettivo è che la situazione nelle carceri resta allarmante. E 4 suicidi in 22 giorni nelle carceri deve fare seriamente riflettere: altro che emergenza superata!”.

“Provvedimenti scellerati”

Da tempo il SAPPE denuncia, inascoltato, che la sicurezza interna delle carceri è stata annientata da provvedimenti scellerati come la vigilanza dinamica e il regime aperto, l’aver tolto le sentinelle della Polizia Penitenziaria di sorveglianza dalle mura di cinta delle carceri, la mancanza di personale – visto che le nuove assunzioni non compensano il personale che va in pensione e che è dispensato dal servizio per infermità -, il mancato finanziamento per i servizi anti intrusione e anti scavalcamento. Lasciare le celle aperte più di 8 ore al giorno senza far fare nulla ai detenuti – ne lavorare, ne studiare, ne essere impegnati in una qualsiasi attività – è controproducente perché lascia i detenuti nell’apatia: non riconoscerlo vuol dire essere demagoghi ed ipocriti. La realtà è che sono state smantellate le politiche di sicurezza delle carceri preferendo una vigilanza dinamica e il regime penitenziario aperto, con detenuti fuori dalle celle per almeno 8 ore al giorno con controlli sporadici e occasionali, con detenuti di 25 anni che incomprensibilmente continuano a stare ristretti in carceri minorili. Mancano Agenti di Polizia Penitenziaria e se non accadono più tragedie più tragedie di quel che già avvengono è solamente grazie agli eroici poliziotti penitenziari, a cui va il nostro ringraziamento. Ed allora si comprenderà perché da tempo il SAPPE dice che nelle carceri c’è ancora tanto da fare: ma senza abbassare l’asticella della sicurezza e della vigilanza, senza le quali ogni attività trattamentale è fine a se stessa e, dunque, non organica a realizzare un percorso di vera rieducazione del reo”.

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